Pur non potendo essere considerata una “deviazione” della democrazia, come spesso affermato dai sui detrattori, il populismo è però un sintomo evidente di qualcosa in essa che non funziona.
Tutti i regimi democratici operano grazie alla combinazione di due principi. Da una parte, il principio della sovranità popolare, l’idea che il potere di decidere non sia nelle mani di re, papi o ricchi proprietari, bensì in quelle del popolo. Dall’altra, il principio della rappresentanza, l’idea che, essendo impossibile interpellare in ogni occasione la totalità dei cittadini, le decisioni vengano prese, in loro vece, da un certo numero di rappresentanti organizzati grazie a un sistema istituzionale. Ogni democrazia si regge su un delicato equilibrio fra i due principi, uno sbilanciamento a favore dell’uno o dell’altro comporterebbe una serie di rischi. Senza mediazioni istituzionali capaci di strutturare procedimenti decisionali e limitare l’esercizio del potere, la sovranità popolare potrebbe degenerare o in un’inconcludente riottosità o, all’opposto, in forme di autoritarismo. La rappresentanza, se distaccata eccessivamente dalla la volontà e dalle necessità della gente rischierebbe o di diventare un esercizio fine a se stesso, distante dai bisogni e i problemi della gente, o, se ostaggio di interessi particolari, di diventare un potente apparato al loro servizio.
Il populismo è un’ideologia che sorge come reazione in particolare a questa seconda deriva. Esso riscuote consensi laddove i cittadini non si sentono più rappresentati dalle istituzioni e dalle forze politiche. Se queste ultime, con i loro costi e privilegi, smettono di essere percepite come “al servizio” del popolo e sono piuttosto viste come parassitarie e inservibili è la loro stessa necessità ad essere messa in discussione. Dunque il famoso slogan degli “indignados” madrileni: no nos representan (non ci rappresentano). Le “soluzioni” proposte dai populisti sono attraenti perché promettono di “andare al grano”, di risolvere in modo “in-mediato” ed apparentemente semplice i problemi della gente. “Cacciare i migranti e chiudere le frontiere”, “punire i politici corrotti e i banchieri”, “svincolarsi dall’Unione Europea e dall’austerità della BCE”… chi più ne ha più ne metta.
A ben guardare, dietro al proliferare di movimenti politici populisti, tanto di destra come di sinistra, c’è qualcosa di più profondo di quel che dicono questi slogan, un qualcosa che finisce per accumunarli. Le retoriche anti-immigranti, anti-austerità, anti-casta, anti-Europa di leader come Le Pen, Grillo, Farage, Iglesias o Trump rivelano i sintomi di una patologia che oggi colpisce la maggior parte delle democrazie occidentali: la crisi del principio di rappresentanza. È dunque su tale crisi che conviene interrogarsi.
Il problema è duplice: il rappresentato perde fiducia nel rappresentante sia se quest’ultimo smette di rispondergli, se risulta distante, sia se le sue azioni non ottengono i risultati auspicati, se appaiono inefficaci. Oggi la politica sembra in difficoltà da entrambi i punti di vista. Da una parte, i canali di trasmissione tradizionali fra cittadini e rappresentati, pensiamo ai partiti politici ma anche ai procedimenti elettorali, fanno fatica a stimolare la partecipazione, a veicolare domande e aspirazioni. I cittadini si sentono ininfluenti, lontani dai luoghi dove si prendono le decisioni e dalle modalità con cui vengono prese (problema di rispondenza). Dall’altra, in mezzo alla complessità della società globale, la politica diventa sempre meno incisiva, al punto da sembrare superflua. Le sorti di noi tutti sembrano essere determinate da dinamiche inafferrabili che sfuggono al controllo di chiunque. Votare per l’uno o per l’altro non sembra davvero poter cambiare il corso degli eventi (problema di efficacia). Se si vuole battere il populismo è su questi due fronti che bisogna agire. Da una parte, i cittadini devono essere messi in grado di condizionare in modo più diretto le scelte dei politici ristabilendo un rapporto di fiducia-responsabilità reciproca; dall’altra, la politica deve poter incidere in modo più efficace sui problemi sociali così da poter rispondere alle domande della gente.
Rispetto alla prima questione, appare fondamentale avviare un processo di ristrutturazione delle istituzioni che partendo dagli enti locali arrivi fino all’Unione Europea. I sistemi istituzionali devono permettere ai cittadini di dare un mandato chiaro e forte a rappresentanti in cui si possano identificare. Solo così, scaduta la delega, essi potranno valutare le responsabilità di ciascuno e decidere se riconfermare o mandare a casa. Questa esigenza è particolarmente forte in Italia, dove i tanti decenni di consociativismo esasperato, di trasformismo e frammentazione hanno favorito irresponsabilità politica, clientelismo e presa in giro degli elettori, ma è altrettanto urgente a livello europeo, dove decisioni fondamentali vengono prese da istituzioni che non rispondono in modo diretto ai cittadini che le subiscono.
Rispetto alla seconda questione, la complessità delle sfide presenti e la forza acquisita da attori non-statali quali multinazionali o banche d’affari fa sì che risposte efficaci possano essere date soltanto da istituzioni più forti, tanto a livello nazionale come continentale. Una politica che non riesce a scegliere, che è continuamente ostaggio di lobby organizzate o di minoranze con potere di veto, alla lunga, diventa irrilevante. A questo proposito, la logica maggioritaria deve affermarsi a ogni livello di governo. Molte questioni poi, dal terrorismo al rilancio economico, dalle migrazioni alla politica internazionale, possono oggi essere affrontate in modo adeguato soltanto a un livello sovranazionale. Da questo punto di vista, si illude chi auspica un ritorno allo stato-nazione. Solo un’Europa più integrata e coesa, ma allo stesso tempo più democratica, potrà ridare alla politica la forza di cui ha bisogno.
Benché le proposte del populismo siano quasi sempre irrealistiche e controproducenti e i toni con cui vengono avanzate spesso intollerabili, sarebbe irresponsabile credere che per contrastarle bastino sdegno o snobismo. Se non si affrontano le sue ragione profonde, le fila del populismo continueranno a ingrossarsi con conseguenze difficili da prevedere. Da questo punto di vista, affermare l’importanza delle istituzioni o rifiutare soluzioni semplicistiche ai problemi contemporanei non può essere soltanto un principio da sbandierare ma deve tradursi in un progetto politico concreto. La sfida è quella di rimettere a funzionare la democrazia in modo che essa possa rispondere per davvero ai problemi della gente. Soltanto adottando la prospettiva del riformismo radicale e avanzando proposte coraggiose che siano capaci di rinnovare i nostri sistemi politici e completare il progetto europeo si potrà mettere fuorigioco il populismo. Si tratta di una sfida complessa che ha bisogno di leader capaci di guardare oltre il loro tornaconto personale, oltre le piccole differenze, oltre l’eterna imperfezione delle cose. Per la sinistra, in particolare, si tratta di un compito aggiuntivo, senza il quale, però, quello storico di rendere le società più giuste rischia di allontanarsi sempre di più.
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