Non è difficile comprendere gli atteggiamenti recenti di Massimo D’Alema, il suo livore, le sue amnesie. Chi fino a ieri tesseva e ritesseva a suo piacimento le trame del centro-sinistra, si trova oggi in una posizione marginale, senza più voce in capitolo nelle decisioni importanti del suo partito. Benché l’ascesa e il declino dei leader sia materia affascinante e il rapporto fra D’Alema e Renzi offra spunti riflessione addirittura psicanalitici, il tema che oggi ci interessa discutere è un altro. L’ex Comandante Massimo, e con lui tutta l’autodefinita “sinistra” (tanto quella dentro al PD, quanto quella fuoriuscita dal PD e quella mai entrata nel PD), accusano Renzi, per l’appunto, di non essere “di sinistra”.
Tale accusa, che è facile immaginare accompagni il suo destinatario fin dai suoi primi passi nel partito costruito con gli ex-PCI, si è inevitabilmente rafforzata con la sua ascesa, fino a diventare corale e vibrante in questi ultimi giorni, dopo il risultato negativo alle elezioni amministrative. Il PD, si dice, paga le politiche “di destra” del premier. Tuttavia, a meno che non si creda davvero che per “essere di sinistra” basti aver ascoltato De André, fumato qualche spinello e avere un poster del Che Guevara o che sia sufficiente una dichiarazione d’odio per le banche e d’amore per i più deboli, la questione è tutt’altro che semplice. Che cosa voglia dire essere di sinistra oggi, in un contesto molto cambiato da quello degli anni ’60 e ’70 (e enormemente più complesso), è una domanda aperta e di difficile risposta. A fini pratici, poi, questa discussione sulle presunte “essenze” conta davvero poco. Che un politico “sia di sinistra”, “dica cose di sinistra” o “abbia una cultura di sinistra” non certifica in alcun modo l’unica cosa davvero rilevante per una comunità politica e cioè che questi sia in grado di fare e faccia cose “di sinistra”.
L’infinita lotta fra idealismo e pragmatismo è una questione che attanaglia da sempre la sinistra italiana. Negli ultimi anni, le difficoltà di costruire un progetto politico capace di diventare maggioritario nel paese e di misurarsi in modo adeguato con la realtà del governo e i suoi necessari compromessi, ha accentuato le divisioni. Molti di quelli che oggi criticano Renzi mostrano da tempo una tendenza all’arroccamento. Se le idee moralmente e intellettualmente superiori della sinistra non trovano riscontro alle urne, la colpa è degli italiani che non capiscono e si meritano Berlusconi. Se ambire al governo vuol dire sporcarsi le mani, dover trovare sponde, meglio ritagliarsi un ruolo di pura testimonianza e limitarsi a celebrare la bellezza delle proprie idee.
Chiaramente, in alto sulla torre, è più facile “essere di sinistra”, accusare gli altri di non esserlo e boicottarli. Da lassù è sufficiente “dire cose di sinistra” senza però dover spendere una parola sul come farle (per esempio con che risorse o con quali numeri in Parlamento). “Eliminare la povertà, riqualificare le periferie e accogliere i migranti”. “Castigare le banche, gli evasori e i capitalisti”. “Investire in ospedali, scuole e teatri”. “Rilanciare l’occupazione perché tutti meritano un posto fisso, un salario adeguato e una pensione all’altezza”. “Rinnovare la pubblica amministrazione e cancellare la corruzione”. “Sconfiggere le mafie e rilanciare il Mezzogiorno”. “Cambiare l’Europa, renderla giusta, umana e generosa”. Mete condivisibili, ci mancherebbe, ma purtroppo ininfluenti se fornite senza un foglio di rotta.
Mentre i begli ideali vengono ribaditi come un cacofonico mantra, i problemi del nostro paese crescono a dismisura. Siamo indebitati fino al collo e abbiamo smarrito la via della crescita economica da più di 20 anni. La disoccupazione colpisce in modo drammatico le nuove generazioni. I livelli di corruzione ci collocano al secondo posto a livello continentale e ospitiamo tre fra le più importanti organizzazioni mafiose al mondo. L’amministrazione pubblica è lenta, sovradimensionata e inefficace. La giustizia è incerta e farraginosa con grave danno per i cittadini e le imprese. Questi risultati, che tutto sono fuor che “di sinistra”, provano come, non indicare una strada concreta che porti dal punto in cui ci si trova a quello auspicato, per quanto ideale sia quel punto, non sposta le cose di un centimetro e rende complici dello status quo, compartecipi della conservazione.
Se Renzi “sia” più o meno di sinistra rispetto ai clichés “radical-chic” o “radical-radical” poco importa. Egli ha indicato una via concreta per risolvere i problemi sopra elencati, si è assunto la responsabilità di dire come e con chi fare le cose senza paura di sporcarsi le mani. Ancor più importante, egli ha individuato nel mal funzionamento del sistema politico, nella debolezza e irresponsabilità dei governi il problema più importante da affrontare, la causa primaria di tutti gli altri problemi, e ha ottenuto risultati tangibili in merito.
A questo proposito è ironico che D’Alema, uomo intelligente che ha governato e sa cosa vuol dire governare questo paese, oggi sembri non ricordare e con leggerezza bocci le riforme di Renzi e lo accusi di non fare cose di sinistra. Proprio lui che quando si trovava al timone fu vittima delle stesse accuse (Nanni Moretti in realtà gli chiedeva soltanto di dire cose di sinistra). Proprio lui che volle la Bicamerale perché aveva capito che né il suo governo né nessuno avrebbe potuto fare cose di sinistra (o di destra), perché il problema non stava nella volontà o nel colore delle politiche, ma nel fatto che in Italia i governi sono impotenti e quel poco che posso fare lo possono fare soltanto a metà.
Il combinato disposto dalla riforma costituzionale (se approvata) e dalla nuova legge elettorale promosse dal governo darà finalmente agli italiani la possibilità di scegliere un governo che sia in grado di portare a termine i suoi programmi e sia responsabile di fronte ai cittadini dei suoi risultati. Questo obiettivo, che evidentemente importa poco a chi non si deve misurare con il fare e a cui basta crogiolarsi nel dire, non è né di destra, né di sinistra. Tuttavia, si badi bene, è la premessa necessaria, ancorché non sufficiente, affinché qualsiasi obiettivo di sinistra possa essere finalmente raggiunto. Nessun governo avrà la forza di riformare il paese in modo incisivo se prima non gli verranno forniti gli strumenti democratici per produrre politiche pubbliche coerenti che non siano il frutto di infinite concertazioni al ribasso.
Published by: Quotidiano L’Adige