Osservando il dibattito politico che si è sviluppato durante gli ultimi mesi all’interno del centro-sinistra italiano, appare evidente il tentativo da parte di alcuni dei suoi protagonisti di delegittimare la figura del Segretario del PD. L’operazione avviene attraverso la proposta reiterata e corale di argomentazioni che, indipendentemente dalla loro fondatezza, a forza di essere ripetute, diventano credibili. Il rischio è che la discussione pubblica, lo strumento fondamentale attraverso il quale una comunità politica costruisce i suoi orientamenti, possa essere distorta in tal misura da far si che quisquilie di minore importanza diventino egemoniche, mentre i temi veramente decisivi restino al margine.
Tale pericolo appare concreto se, in un momento cruciale, in cui la complessità dei problemi da affrontare è sotto gli occhi di tutti, gran parte del dibattito politico gravita intorno alla persona di “Matteo Renzi”. A seconda del caso, l’ex-premier è giudicato “antipatico”, “sbruffone”, “cialtrone”, “spaccone”, “gradasso”, “leggero”, ecc. Viene da chiedersi: nel valutare un politico, può giovare l’utilizzo di categorie adatte per la scelta di un amico o di un partner? Ad essere soddisfatte devono essere le nostre preferenze estetico/comportamentali o le necessità del paese? Nel valutare una stagione politica, poi, possiamo scambiare il lavoro portato avanti da una squadra con le supposte qualità umane del leader che l’ha diretta?
Altro argomento ad personam piuttosto martellante mette in dubbio che Renzi sia “di sinistra”. Sulla base di una definizione arbitraria di una supposta “essenza di sinistra”, quasi mai analitica, invariabilmente nostalgica, viene avanzato un giudizio definitivo: “Renzi è di destra”. Gli argomenti tuttavia sono traballanti, di rado accompagnati da evidenze, spesso inclini alla contraddizione. Viene da chiedersi: nel contesto non certo roseo in cui versa il paese, per essere “di sinistra”, contano di più le parole o i fatti (che in politica vogliono dire leggi approvate, fondi stanziati, provvedimenti attuati)? E il metro per valutare i fatti deve essere la loro aderenza a schemi e liturgie del passato o la loro capacità, magari con strategie innovative, di rendere la società più equa? Parafrasando il grande compositore Gustav Mahler, stare nel solco della tradizione “di sinistra” vuol dire “adorarne le ceneri” o “salvaguardarne il fuoco”?
Renzi non ha bisogno di essere difeso e svariati sono gli aspetti critici del suo operato, il punto è un altro: provare ad evitare che, invischiato in un dibattito ad personam, il centro-sinistra italiano perda un’altra occasione per discutere con un po’ di prospettiva e di profondità del suo presente e del suo futuro. Vista la carica fortemente dirompente del suo operato, la questione “Matteo Renzi” non può certo essere dribblata, ma diventa interessante soltanto se smette di girare intorno a “Matteo”, ai pregi e ai difetti della persona, e si concentra, piuttosto su “Renzi”, inteso come progetto politico. Se l’obiettivo diventa questo, sembra doveroso misurarsi con 5 novità importanti introdotte dal discorso e dalla prassi politica renziane. Rispetto ad ognuna di esse sarà utile domandarsi in modo spassionato: si tratta di novità che hanno contribuito a dare risposta a difficoltà oggettive presenti nel campo della sinistra? Magari con qualche aggiustamento, è giusto dargli continuità o è preferibile tornare alla linea precedente? In alternativa, esistono altre strade possibili che non sfuggano però al vincolo della concretezza?
L’Italia e l’Europa. La principale vittima politica della recente crisi economica è stata l’UE. In tutto il continente, tanto a destra come sinistra, hanno lucrato quei movimenti che si sono dilettati nel tiro al bersaglio. A sinistra, in particolare, la linea predominante è stata quella di dare la colpa della crisi alle politiche di austerità di Bruxelles. Rispetto a questa linea, Renzi si è smarcato nettamente. L’Italia, con le sue ataviche inefficienze, privilegi e storture, non è nella posizione di incolpare altri della sua sorte. Le politiche di austerità possono essere criticate, anche aspramente, ma soltanto dopo aver avviato un processo di riforme che cominci a risolvere i problemi interni. Un cambio di impostazione evidente, il tentativo di superare quella sudditanza culturale per cui l’Europa è dipinta, alternativamente, o come vile matrigna o come panacea contro tutti i mali, ma invariabilmente come qualcosa di altro da sé, rispetto a cui permettersi una sostanziale irresponsabilità.
Il primato della politica. Complice la debolezza del sistema politico, il modus operandi tradizionale per la presa di decisioni in Italia è stata la concertazione ad libitum con le forze sociali. Due le conseguenze principali: un esagerato potere di influenza da parte delle associazioni di categoria (che, è bene ricordare, difendono la causa di minoranze) e, per lo stesso motivo, la possibilità da parte della politica di sottrarsi alle proprie responsabilità. A sinistra, questa problematica si è evidenziata in modo emblematico nel rapporto con i sindacati. Anche in questo ambito, la svolta di Renzi è stata decisa. Le parti sociali devono dire la loro rispetto a qualsiasi iniziativa politica, ma non possono avere l’ultima parola. Sono il parlamento e il governo a dover prendere le decisioni e, non potendo più nascondersi dietro a uno sciopero, a dover assumerne la responsabilità; a costo di perdere qualche voto sicuro l’obiettivo deve essere il benessere della collettività e non soltanto di una parte di essa.
Sinistra ed economia. Negli ultimi anni, con poche eccezioni, il discorso economico delle sinistre europee è sembrato in preda alla paralisi. Mentre la società è attraversata da trasformazioni radicali, dai modelli produttivi alle forme di lavoro, dalle strutture sociali ai mezzi di comunicazione, dal commercio internazionale alla finanza globale, le ricette proposte sono rimaneste sempre le stesse, al pari delle strutture interpretative su cui poggiano (lo scontro fra capitale e lavoro, il modello del posto fisso, l’imperativo di un forte intervento dello stato). Ora, se l’obiettivo della sinistra è quello di far valere alcuni principi fondamentali (eguaglianza, democrazia, libertà), le possibilità sono due: o si riesce a cancellare le trasformazioni sociali in atto, in modo da rendere di nuovo valide le ricette del passato, o si devono aggiornare le ricette in modo da far valere i principi dentro al nuovo contesto. L’azione del governo Renzi ha provato a percorrere questa seconda strada, portando avanti alcune battaglie decisamente controculturali dentro alla sinistra italiana. Se difendere il posto fisso diventa irrealistico, compito della sinistra è quello di difendere il lavoratore, creando sistemi che, dentro alla flessibilità, gli permettano di avere un reddito e di riqualificarsi durante le transizioni da un lavoro all’altro. Se l’eccessivo peso della fiscalità e l’inefficienza dello stato minano la fiducia tra contribuente e pubblica amministrazione (pregiudicando anche la crescita economica), non basta perseguire gli evasori ma diventa fondamentale abbassare le tasse e modernizzare i servizi.
Politica e giustizia. Il mito della “superiorità morale” è cresciuto a tal punto nella coscienza della sinistra italiana da venir confuso con la sua strategia politica. Gli anni di Mani pulite prima, e di Berlusconi poi, rendevano necessario, come il sorgere del sole, il governo della sinistra. C’era solo da aspettare e vedere se sarebbero stati prima i giudici a liberare il cammino dai concorrenti, o gli italiani a rendersi conto di quanto fossero farabutte le destre. L’insuccesso di tale strategia ha mostrato in modo chiaro che la giustizia e la moralità non possono sostituirsi alla politica: per vincere le elezioni non basta essere onesti, bisogna anche essere in grado di mettere in campo una proposta convincente. In questo ambito, la novità di Renzi è stata decisa: gli avversari politici, lo stesso Berlusconi, sono tutti politicamente legittimi e vanno battuti con idee che siano capaci di convincere la maggioranza dei cittadini. La giustizia ha il dovere di condannare i disonesti ma quello è un ambito che non compete direttamente alla politica e che non può supplire alle sue responsabilità.
Maggioranze e minoranze. A pesare fortemente sull’incisività politica delle sinistre è stata, poi, l’assenza di una cultura maggioritaria sia all’interno dei partiti che nel rapporto fra alleati. In fondo a questa questione sta un tema più profondo che interessa la comunità politica: lo scarso riconoscimento fra le parti, la sfiducia reciproca, l’idea che o si partecipa alla presa di decisioni o si verrà usurpati. Questo problema si è tradotto nell’instabilità dei governi di centro-sinistra, nella litigiosità interna ai partiti con scissioni a catena, più in generale nella difficoltà della presa di decisioni, nel trionfo dei veti, nell’annacquamento di ogni iniziativa. In questo ambito, Renzi ha proposto un cambio di marcia. Ogni ruolo decisionale deve essere conteso competitivamente, ma, una volta stabilite maggioranze e minoranze, queste devono valere e pesare per quello che sono e pesano. Il dialogo tra le parti è sempre importante, ma altrettanto importante, pena la paralisi, pena l’irrilevanza, è arrivare alla decisione politica, al momento in cui si rema tutti nella stessa direzione.
Sulla capacità di dialogare in modo critico su queste 5 innovazioni si gioca gran parte del futuro del centro-sinistra nel nostro paese. Se a trionfare saranno, ancora una volta, le lotte di potere e i bisticci faziosi, se a vincere sarà l’operazione restauratrice che si cela dietro il dibattito ad personam, il paese verrà consegnato alle destre o al M5S. Matteo Renzi potrà piacere o meno, ad essere in gioco, tuttavia, non è lui, ma la possibilità in Italia di una sinistra moderna che non si rassegni, come accaduto altrove, a un compito di pura testimonianza, che non abdichi a un ruolo da protagonista in questo frangente quanto mai complicato.
0 comments