È passata poco più di una settimana dalla fine di una delle campagne elettorali più beffarde di sempre, le forze politiche in lizza hanno promesso mari e monti, hanno detto tutto il peggio possibile le une delle altre, e siamo già al grande ribaltone, al “vi abbiamo raccontato una balla, la verità è che…”. Le promesse, a sentire i CAF, si stanno rivelando irrealizzabili; le forze avversarie, con cui non ci si sarebbe alleati mai e poi mai, nemmeno sotto minaccia, sono diventate l’unica opzione per fare un governo. Non sorprende la lenta trasformazione a cui assistiamo in queste ore: quelli che fino a ieri erano impresentabili si tramutano d’improvviso in civilissime controparti con cui sarebbe quanto mai opportuno avviare un dialogo.
Questo esito, per altro assai prevedibile, e le conseguenze che potrebbe portare con sé non sono soltanto grottesche ma anche pericolose. Come può funzionare una democrazia in cui, senza alcun pudore, in un batter d’occhio, si dice tutto e il contrario di tutto? Che legittimità possono avere alla lunga forze politiche che si criticano durissimamente, che si presentano come assolutamente e inconciliabilmente alternative, che si delegittimano irreparabilmente a vicenda, e poi, il giorno dopo le elezioni, si corteggiano come se nulla fosse?
Gli effetti di una politica fatta così, di una politica dove lo scontro è soltanto una finta e poi sono tutti pappa e ciccia, di una politica dove gli elettori non scelgono nulla e i governi sono tenuti in piedi da accozzaglie di partiti e partitini tenuti insieme soltanto dalla necessità di governare, le conosciamo bene, sono la storia d’Italia. Politiche deboli e inefficaci, figlie di negoziazioni estenuanti da cui nessuna clientela esce scontenta; politiche che per incapacità di scelta possono soltanto aggrapparsi a continui incrementi di spesa che ipotecano il futuro dei nipoti in nome della negligenza dei nonni; politiche dello scaricabarile, in cui la colpa, essendo di tutti, non è mai di nessuno.
Dopo 30 anni di aspettative tradite rispetto a una svolta che portasse finalmente il nostro paese sul solco delle democrazie competitive, possiamo davvero fare marcia indietro e tornare alle politiche della prima repubblica, alle stanche liturgie della democrazia consociativa? Non sarebbe forse il caso che come comunità politica ci permettessimo per una volta di pensare ad un’opzione migliore, ad una svolta collettiva che prospetti un futuro diverso?
Qui viene il punto: pensare a un governo condiviso fra forze incongruenti, che fino a ieri si sono delegittimate e hanno presentato agli elettori programmi assolutamente incompatibili, sarebbe un arrendevole ritorno al passato, un abbassare le braccia e dire “non ce l’abbiamo fatta”, un ulteriore colpo alla nostra già fragile democrazia. Con i “nemici” politici non si deve governare insieme, se non in casi eccezionali, si deve invece, in certi frangenti della storia, essere capaci di ridiscutere le regole del gioco, di pattuire riforme costituzionali.
Dietro agli appelli per un accordo di governo fra opposti che in questi giorni fioccano da ogni dove, riemerge quell’idea equivoca ma profondamente radicata nella cultura politica del nostro paese secondo cui un’auspicabile pacificazione o cambio di clima fra le forze politiche voglia dire un accordo per la condivisione del potere e non, piuttosto, un accordo per generare le condizioni affinché tali forze possano alternarsi al potere. Bisogna dirlo con chiarezza: oggi il paese non può più permettersi questo equivoco. Sono necessarie riforme che permettano di rompere il circolo vizioso, di superare il fatto che l’eccezione sia diventata regola e che per governare sia sempre necessario mettere insieme forze incompatibili. Se la politica non è messa nelle condizioni di governare e di assumersi le proprie responsabilità, il futuro non potrà che essere grigio e lo sarà indipendentemente dal fatto che al posto di Renzi, ci vada Salvini, Grillo o Superman. Come si provò a segnalare durante la campagna referendaria di due anni fa, non siamo di fronte a un problema di guida, ma di funzionamento della macchina istituzionale. È possibile che le forze che allora negarono tale realtà per pura convenienza, dovendoci oggi fare i conti in prima persona, riescano ad avvedersene?
Dinanzi alla sfida epocale di trovare un accordo al rialzo per non dover più trovare accordi al ribasso, ognuna delle forze politiche presenti in campo deve essere capace di guardarsi allo specchio e di guardare poi in faccia gli elettori. La loro proposta sarà ancora una volta la farsa di un governo accozzaglia o sarà invece un accordo storico per una riforma condivisa delle istituzioni che rilanci una volta per tutte il nostro paese?
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